SOCIAL NETWORK E MESSAGGISTICA NELLA SCUOLA MEDIA: alcune riflessioni
Appare necessaria la rivendicazione “della superiorità del modello didattico rispetto al modello tecnico, dell’autorità e della capacità di scelta critica dell’insegnante/educatore/formatore rispetto agli strumenti che usa”
Data la crescente diffusione dell’uso dei social network (facebook, instagram ecc.) e dei sistemi di messaggistica (messenger, whatsapp ecc.) per le comunicazioni sia tra gli alunni, sia tra famiglie e docenti, si ritiene opportuno richiamare l’attenzione su alcune riflessioni, poiché quando si utilizza un mezzo digitale, è facile, ma non altrettanto opportuno, lasciarsi condizionare dallo strumento stesso, perdendo di vista alcune fondamentali regole di corretta comunicazione, dal momento che uno strumento non è mai buono o cattivo, ma buono o cattivo può essere l’uso che se ne fa.
Questa considerazione, di per sé molto banale, comporta una serie di conseguenze sul piano educativo: gli adulti, genitori ed insegnanti, hanno il dovere di educare i ragazzi al corretto utilizzo, sia attraverso le adeguate spiegazioni, sia attraverso comportamenti personali corretti che possano essere di esempio.
In questo senso, il primo importante aspetto, non di rado trascurato o addirittura ignorato dai ragazzi (ma a volte anche dagli adulti) riguarda la tutela della privacy: è fondamentale comprendere e far comprendere che qualunque informazione viaggi attraverso social network o sistemi di messaggistica non resta un’informazione privata. D’altra parte, però, è anche vero che una chat può essere equiparata ad una telefonata e la violazione della privacy si ha anche, potenzialmente, ogni volta che qualcuno, non espressamente invitato in chat, trova modo di leggerne i messaggi e li utilizza senza autorizzazione. È evidente che questi aspetti (per i quali si rimanda anche alla nota del 29/04/2014 “Educare alla rete – l’alfabeto della nuova cittadinanza nella società digitale”) possono avere conseguenze importanti, con risvolti perfino di natura penale.
Accanto alle questioni più strettamente legali, va rilevata però anche una problematica più squisitamente pedagogica, che attiene alle modalità di comunicazione, non con riguardo al mezzo utilizzato, ma sotto l’aspetto dei registri comunicativi e dei ruoli.
Da questo punto di vista, tutti gli adulti coinvolti nel processo educativo sono chiamati a fare una riflessione sul proprio ruolo e sull’autorevolezza che deve esservi connessa: i nostri ragazzi non cercano in noi degli amici (per questo hanno i loro coetanei), ma prima di tutto dei punti di riferimento.
Come tali, gli adulti hanno il dovere di mantenere la giusta distanza, che non deve significare ovviamente mancanza di comprensione, di empatia, di condivisione, ma che ci consente di “mettere a fuoco” i ragazzi e le loro situazioni e permette loro di vedere gli adulti come figure dotate di autorevolezza, che hanno il compito di guidarli e delle quali possono fidarsi. È evidente come tutto questo abbia anche a che fare con le modalità di comunicazione, perché è comunicando che noi ci “diamo” agli altri, prima di tutto ai nostri ragazzi.
Nelle quotidiane conversazioni è pacifico il fatto che i ragazzi usino, tra loro, un registro linguistico molto colloquiale e diverso da quello che andrebbe usato con gli adulti ed è inevitabile che lo stesso meccanismo si riproduca nelle chat condivise tra compagni di classe.
L’intromissione, più o meno autorizzata, di qualche adulto in queste chat rischia quindi di creare fraintendimenti e di limitare indebitamente uno spazio autonomo di relazione in cui i ragazzi si possano confrontare. Né è auspicabile, per ciò che si è detto sul ruolo dell’adulto, che esso si relazioni all’interno di tali chat mettendosi sullo stesso piano dei ragazzi ed adottando le stesse modalità comunicative, poiché questo può avere l’effetto di una destabilizzazione dei rispettivi ruoli, che non giova al rapporto educativo.
Diverso è l’uso che si può fare di tali strumenti con finalità di “servizio”, come ad esempio per richieste di chiarimenti sui compiti assegnati. In questo caso, i social e le chat possono diventare strumenti alternativi a quelli tradizionali, che potranno essere scelti dal docente in base alle modalità didattiche che preferisce e che ritiene più opportune ed efficaci. Sia gli strumenti tradizionali che quelli innovativi, infatti, presentano vantaggi e svantaggi che dovranno essere valutati, prima di acritiche adozioni.
Una piccola riflessione va fatta anche per ciò che riguarda i rapporti tra adulti, poiché anche tra docenti e genitori la comunicazione dovrebbe evitare di perdere di vista la posizione che ciascuno occupa nel processo educativo. Nel corso degli anni, infatti, l’esigenza di rapporti empatici e comprensivi, giustamente sentita come base fondamentale per la creazione di un sistema educativo integrato tra scuola e famiglie, ha talvolta portato ad eccessi che hanno minato i rispettivi ruoli.
Si tratta ovviamente di una questione complessa, che andrebbe approfondita in altre sedi, ma è indubbio che, anche in questo caso, le modalità comunicative rivestono una grande importanza. Ancora una volta, quindi, docenti e genitori sono chiamati a riflettere sulle modalità di utilizzo dei nuovi strumenti digitali. Tanto per fare un piccolo esempio, è evidente che con i nuovi strumenti è possibile contattare una persona in qualunque momento e in qualunque giornata, ma è altrettanto evidente che un docente (a differenza di un genitori) non è in servizio 24 ore su 24 e che quindi non è opportuno interpellarlo in orari inappropriati con richieste scolastiche.
Con ciò, non si vuol certo riproporre un modello di scuola e di rapporti antiquato e superato ormai dai tempi, ma riproporre la “rivendicazione della necessaria superiorità del modello didattico rispetto al modello tecnico, dell’autorità e della capacità di scelta critica dell’insegnante/educatore/formatore rispetto agli strumenti che usa” mentre “l’avvento impetuoso e continuo di sempre più potenti strumenti di informazione e di comunicazione rischia a volte di causare un affievolimento di questa consapevolezza” (prof. Luigi Guerra, Scienze della Formazione, Università di Bologna).