Le prove Invalsi: perché?
Alcune riflessioni sul senso e l’utilità delle prove Invalsi e sulle proteste che le accompagnano.
Ogni anno, con l’arrivo delle prove Invalsi, torna la protesta: alcuni piccoli sindacati della scuola indicono uno sciopero di rito per cercare di boicottarle, alcuni opinionisti scrivono sulle testate on line le critiche di rito, che si ripetono da molti anni nei confronti di questo adempimento.
E’ bene, a mio parere, condividere alcune riflessioni in merito, perché anche le famiglie degli studenti possano comprendere il senso delle prove standardizzate nazionali.
In primo luogo, la questione dei quiz:
è vero, le prove Invalsi sono strutturate in modo da richiedere poco scritto “libero” da parte degli studenti e molte risposte a scelta multipla.
Questo viene interpretato da alcuni come sinonimo di nozionismo, proponendo l’equazione per cui, se un alunno non scrive di proprio pugno le parole che pensa, significa che deve aver imparato a memoria nozioni che deve solo ritrovare e “crocettare”.
Questa equivalenza tra test a risposta chiusa e nozionismo è inesatta ed estremamente riduttiva e potrebbe essere facilmente smentita da una lettura di un test Invalsi che fosse libera da pregiudizi. L’Invalsi infatti lavora ormai da anni sul concetto di competenza, che si pone all’estremo opposto rispetto alla logica del nozionismo.
Peraltro, i test a scelta multipla sono utilizzati in tantissimi contesti, non certo esclusivamente nozionistici, dall’Università al mondo del lavoro e sono caldamente consigliati dagli psicologi e dai pedagogisti nell’attività scolastica ordinaria per tutti quegli studenti che presentano qualche tipologia di difficoltà di apprendimento.
In secondo luogo, la questione della valutazione:
si dice che non basta un test di questo tipo per valutare la complessità dell’apprendimento dei nostri ragazzi. Questa affermazione è assolutamente vera, tuttavia l’Invalsi non ha mai preteso di valutare l’apprendimento nella sua complessità: le prove servono, dichiaratamente e da sempre, per dare uno strumento alle singole scuole e al Ministero nelle procedure di autovalutazione e valutazione di Istituto.
Se inizialmente era sorto il sospetto che potessero diventare una modalità nascosta di valutazione degli insegnanti, ormai l’evoluzione e l’applicazione pluriennale del meccanismo ha ampiamente smentito questa ipotesi.
Un esempio banale:
se in un Istituto scolastico i risultati delle prove evidenziano una notevole disparità tra le classi, la scuola dovrà chiedersi quali ne sono le cause (la formazione delle classi non ha funzionato bene? Ci sono stati troppi cambi di insegnanti? Non sono stati attivati adeguati corsi di recupero? e così via) e cercare di porre rimedio ad un fatto che può andare a danneggiare, evidentemente, il diritto allo studio degli studenti.
L’Invalsi, in effetti, restituisce alle scuole moltissimi dati elaborati, che consentono di confrontare i risultati della singola scuola con quelli di scuole analoghe per contesto sociale ed economico, con quelli della regione di appartenenza, con quelli di tutta l’Italia e così via.
Da quest’anno, vengono restituiti anche i risultati a distanza, per seguire l’andamento dei propri studenti nella prova Invalsi del successivo ordine di scuola.
Questo è sufficiente per consentire l’autovalutazione e la valutazione di una scuola? Certamente no, si tratta semplicemente di uno strumento, al quale la scuola ha il compito di affiancarne altri, per cogliere altri aspetti e consentire delle comparazioni.
Le scuole della provincia di Rimini lo stanno facendo, con il progetto RiminInRete.
Lo scopo è quello di monitorare il sistema scuola, nell’ottica di un miglioramento continuo, a vantaggio proprio degli studenti.
Il dirigente scolastico
Lorella Camporesi