Ultima modifica: 16 Gennaio 2015
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EDUCARE ALLA RETE – L’alfabeto della nuova cittadinanza nella società digitale

Riportiamo qui di seguito uno stralcio dell’introduzione al volume del Garante per la protezione dei dati personali, elaborata da Antonello Soro, Presidente del Garante.

 

Per chi desiderasse approfondire, il volume è scaricabile al seguente link: EDUCARE ALLA RETE

 

Lo sviluppo impetuoso delle tecnologie digitali ha trasformato con incredibile velocità e con effetti difficilmente prevedibili l’organizzazione sociale del nostro tempo. Questi effetti non sono interamente percepiti.

Internet da strumento di comunicazione si è trasformato in presupposto dell’agire individuale, principale piattaforma su cui costruire relazioni interpersonali, lavoro ed erogazione di servizi, commerci e contenuti: è diventato l’ambiente in cui nasce la cultura e si forma un modo di abitare il mondo e di organizzarlo.

Occorre prendere consapevolezza che questo ambiente non è un luogo separato, una realtà parallela, ma piuttosto lo spazio in cui si dispiega una parte sempre più importante della vita reale.

Reale e virtuale non possono più essere declinati come due mondi distinti dove ciascuno è libero di assumere una diversa identità a seconda della circostanza, ma rappresentano ormai territori integrati da una costante e sempre più pervasiva “connettività”.

Questo processo ha subito una straordinaria accelerazione per effetto di molteplici fattori: dalla proliferazione delle connessioni mobili alla progressiva integrazione dei diversi strumenti di comunicazione, alla forza innovativa delle applicazioni tecnologiche che diventano sempre più piccole

e indossabili quasi a costituire appendici del nostro corpo, capaci di aumentarne e potenziarne le funzioni. Se un’applicazione per smartphone calcola il percorso più veloce per andare a casa e un’altra monitora funzioni vitali del nostro corpo come, ad esempio, la frequenza cardiaca, o il consumo calorico o piuttosto il livello di attenzione nella guida dell’automobile; se la profilazione comportamentale personalizzata non si basa sulla registrazione dei testi raccolti in Rete ma utilizza sensori capaci di cogliere altre dimensioni delle nostre attività, captare ed elaborare elementi non linguistici ma espressivi di emozioni, allora si pongono problemi davvero nuovi per i quali non abbiamo risposte adeguate.

La tecnologia diventa pervasiva e si trasforma in una seconda pelle che condiziona ineluttabilmente gli stili di vita.

Siamo immersi nel digitale e sempre di più conosceremo noi stessi, il mondo e gli altri attraverso la tecnologia e sarebbe illusoria la pretesa di arrestare questa evoluzione con un semplicistico invito a “scollegarsi” o “disconnettersi”.

La quotidianità si è già modificata ed ha trovato nelle tecnologie digitali strumenti per esprimere nuove esigenze alle quali è impossibile ed irrealistico rinunciare.

La materialità delle cose si è ridotta: la maggior parte delle attività – dalle amicizie, allo scambio di semplici pensieri, agli spostamenti – si è smaterializzata dando luogo ad una produzione massiccia di dati digitali che circolano, in modo incessante, attraverso la Rete e, soprattutto, attraverso i dispositivi

mobili che implacabilmente e continuamente li raccolgono e trasmettono.

La rivoluzione digitale che trasforma in dati parti sempre più rilevanti delle nostre vite private propone

problemi nuovi per le nostre libertà.

Nello spazio digitale si possono violare le nostre persone, si possono negare i diritti, si possono manipolare o perfino rubare informazioni che riguardano strettamente aspetti fondamentali della nostra

esistenza, che coincidono con la nostra vita.

La tentazione più insidiosa per tutti noi consiste nella rassegnazione a considerare che tutto ciò che si trasforma in byte sia altro rispetto alla nostra fisicità, qualcosa di lontano rispetto alla nostra vita quotidiana.

La sfida più grande che dobbiamo affrontare è quella di riuscire ad accompagnare la società in un processo di elaborazione delle misure, della cultura e della sensibilità necessarie per far fronte ai nuovi

problemi posti dallo sviluppo tecnologico.

Se, infatti, un’esperienza millenaria ci ha trasmesso ed insegnato la necessità di proteggere e tutelare i beni materiali, dobbiamo riconoscere che siamo ancora inesperti e privi di adeguate capacità di fronte ai lati oscuri dello spazio digitale.

Gli hacker che, attraverso virus o codici, aprono la serratura di banche dati o siti protetti sono ladri esattamente come coloro che utilizzano un grimaldello per aprire una porta blindata. Il furto dell’identità digitale o di un profilo Facebook reca alla vittima un danno anche maggiore rispetto alla sottrazione del portafoglio o di un’agenda personale. Ed ancora: forme di monitoraggio continuo in Rete non sono semplicemente un fastidio e una inammissibile invadenza, ma armi puntate contro di noi: i dati digitali tracciati, controllati, archiviati possono al momento opportuno essere utilizzati per danneggiarci.

 

La rivoluzione digitale attacca e scompiglia le tradizionali categorie giuridiche. Ma non possiamo permettere che gli eventi ci soverchino e che inerzia e situazioni di fatto favoriscano l’oblio del diritto.

Dobbiamo sfuggire due tentazioni estreme e opposte: da una parte quella di una inutile e stupida tecnofobia, la fuga dall’innovazione, l’idea apocalittica che attribuisce alla Rete la colpa di tutti i mali della modernità e, dall’altra, la rinuncia rassegnata a contrastare le distorsioni del sistema, a ricercare una qualche regolazione dei processi globali che presiedono alla comunicazione elettronica e più in generale a vivere responsabilmente il nostro tempo.

 

Un’adeguata protezione dei dati si pone dunque come garanzia ineludibile per scongiurare il pericolo che le nuove tecnologie, indispensabili nel semplificare l’attività dei singoli individui, agevolare l’interscambio di informazioni, migliorare la vita di relazione, si traducano in strumenti perversi e potenzialmente lesivi.

Ed invero, il valore racchiuso nelle regole e nei comportamenti in cui si sostanzia il diritto alla protezione dei dati assolve ad un ruolo di fondamentale rilievo nella ricerca del bilanciamento tra uomo

e tecnica, tra società in continua evoluzione e capacità di adattamento dell’individuo.

Essere sicuri che i dati siano protetti costituisce una condizione essenziale affinché si continui a garantire ed assicurare l’effettivo godimento delle libertà e dei diritti tradizionalmente riconosciuti, difesi

e tutelati nel mondo off line.

Parti della nostra vita sono disseminate e conservate nelle grandi banche dati, dove la nostra identità è sezionata, scomposta e spesso ricomposta come un mosaico di tessere diversamente raccolte.

In una società che compra e vende informazioni e fa diventare merce la stessa persona alla quale si riferiscono i dati, la tutela della privacy diventa sempre più una questione di libertà.

Si tratta di valori fondamentali che devono in primo luogo essere trasmessi ai giovani – i cosiddetti “nativi digitali” – che più di altri possiedono le capacità per accedere e sfruttare in modo sempre più dinamico le opportunità offerte dalla società digitale. Usano computer, smartphone e tablet come pratiche abituali per comunicare con i coetanei, accedere alle informazioni, autoesporsi aggiornando continuamente i propri status, postando commenti, pubblicando foto o video ed immettendo on-line una quantità impressionante di dati personali che rivelano pensieri, emozioni, abitudini, amicizie.

Nella maggior parte dei casi, i ragazzi che conoscono alla perfezione i meccanismi e la forza del web e delle innovazioni, non sanno ancora valutare appieno le conseguenze delle proprie azioni: e questo li rende particolarmente vulnerabili. Bisogna convincere i ragazzi, che si muovono a volte in modo compulsivo tra il mondo digitale e quello reale, che la vita vera è ovunque: in Rete e fuori dalla Rete.

L’illusorio anonimato che Internet sembra garantire (attraverso ad esempio l’utilizzo di nickname o profili falsi) spesso permette di ledere e calpestare senza rispetto i dati sensibili, rubare identità, demolire psicologicamente, con comportamenti aggressivi, i compagni. Molestie, minacce, diffamazione, gravi fattispecie sanzionate dal codice penale, non perdono certo di significato se realizzate nel web.

Tutto ciò che facciamo in Rete diventa il contenuto delle nostre vite, delle nostre biografie, che ne saranno condizionate per sempre, soprattutto a causa della stessa dimensione indeterminata ed indefinita della Rete.

Occorre invertire la rotta ed evitare che i giovani siano sfruttati e percepiti soltanto come consumatori

passivi di tecnologia, incoraggiandoli a comprendere i principi fondamentali e, soprattutto, i rischi (sempre più invisibili) che si corrono.

Così come non lasciamo cartelli per avvertire i ladri dell’assenza da casa, allo stesso modo dovremmo imparare ad evitare di lasciare minuziosi dettagli sui nostri spostamenti sui social network;  così come ci hanno insegnato a non dare confidenza agli sconosciuti, egualmente dovremmo evitare di inserire i dettagli delle nostre vite, soprattutto se intimi, su Internet.

 

Tutti dobbiamo misurarci con le sfide di una complessa fase di transizione e per questo l’educazione della persona digitale (come una sorta di rinnovata educazione civica) deve essere rivolta a tutti i cittadini, agli operatori, agli utenti dello spazio digitale senza distinzione, appunto, di età o di ruoli. 

 




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